In Italia, il dibattito sull’uso del riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine è ancora caratterizzato da una mancanza di trasparenza. Nonostante l’ampio utilizzo del sistema Sari, sviluppato dalla società Reco 3.26, i cittadini non hanno accesso ai dati necessari per un confronto aperto e informato.

Il riconoscimento facciale è una tecnologia di intelligenza artificiale utilizzata per identificare o verificare l’identità di un individuo analizzando e confrontando i tratti del viso. Questo strumento viene usato principalmente per acquisire immagini in luoghi pubblici o privati attraverso le telecamere, per trasformare le immagini in dati digitali attraverso software che analizzano le caratteristiche facciali, per confrontare il modello biometrico con altri modelli presenti in un database, per accedere ai dispositivi elettronici, per analizzare il comportamento dei clienti nei negozi, per verificare l’identità dell’utente in alcune piattaforme di pagamento e per identificare persone ricercate o scomparse in luoghi pubblici come aeroporti, stazioni ed eventi da parte delle forze dell’ordine.

In particolare, da alcuni anni la Polizia Scientifica italiana fa uso del Sistema Automatico di Riconoscimento Immagini (SARI). Originariamente sviluppato per contrastare il terrorismo, è diventato un efficace strumento anche per l’arresto di criminali. Pur riconoscendo i vantaggi di SARI nel ridurre i tempi di identificazione dei criminali, il sistema è oggetto di forti critiche. La principale preoccupazione riguarda la scarsa trasparenza che ha caratterizzato il suo sviluppo e funzionamento, sollevando dubbi e dibattiti sulla sua applicazione e affidabilità.

Attualmente l’associazione non profit StraLi e il collettivo giornalistico IrpiMedia stanno cercando di far luce sull’uso di Sari, ma il Ministero dell’Interno, sotto la guida del ministro Matteo Piantedosi, continua a resistere nel fornire informazioni. Questo rifiuto ostacola un dibattito pubblico essenziale, soprattutto a seguito delle nuove normative europee sull’intelligenza artificiale (AI ACT).

Approvato nel 2018 dal Garante Privacy, Sari permette alla Polizia Scientifica di confrontare immagini di volti con quelle presenti nel database Afis, che contiene le impronte digitali e i volti di persone fotosegnalate. Tuttavia, l’algoritmo di Sari, il cui funzionamento rimane sconosciuto al pubblico e agli operatori, presenta molte incognite. Ad esempio, non si sa se e come l’algoritmo sia stato aggiornato dal 2016.

Grazie agli sforzi di StraLi, è stato possibile ottenere alcuni dati: nel 2022 sono state effettuate 79.362 ricerche con Sari, aumentate a 131.023 nel 2023, nonostante un calo del 5,5% dei reati nello stesso periodo. Tuttavia, mancano informazioni cruciali come il tasso di successo delle ricerche e i reati specifici per cui Sari viene utilizzato.

In Stati come i Paesi Bassi e la Germania, i dati sul riconoscimento facciale sono accessibili al pubblico e mostrano un uso molto inferiore rispetto all’Italia. Nei Paesi Bassi, solo l’8-12% delle ricerche produce un match. In Italia, invece, ogni mille reati vengono effettuate 60 ricerche con Sari, contro meno di due nei Paesi Bassi e in Germania.

L’uso di Sari solleva preoccupazioni sulla privacy e sulla discriminazione, in particolare verso i cittadini stranieri, che costituiscono la maggioranza nel database Afis. Inoltre, l’opacità del funzionamento dell’algoritmo rende difficile contestarne l’affidabilità scientifica. Senza trasparenza, è impossibile valutare se il sistema venga utilizzato in modo appropriato o se vi sia un rischio di abuso.

In conclusione, il riconoscimento facciale è una potente tecnologia con molte applicazioni utili, ma anche con significative implicazioni etiche e legali che richiedono attenta considerazione.