Dallo studio Women in Tech del Boston Consulting Group emerge un dato interessante: le donne che lavorano nel settore tecnologico sembrano essere più familiari con l’intelligenza artificiale di tipo generativo rispetto agli uomini. Infatti, il 75% delle donne lo utilizza almeno una volta alla settimana, rispetto al 61% degli uomini. Questo potrebbe essere considerato un segnale positivo, tuttavia, la percentuale di donne impiegate nel settore è significativamente inferiore rispetto a quella dei colleghi maschi.
Negli Usa, secondo gli ultimi dati del Bureau of Labor Statistics, meno del 30% della forza lavoro nel tech è composto da donne, mentre i dati Eurostat mostrano che solo 1 lavoratore su 5 è donna. Questa disparità si riflette in particolare nel numero di laureati in discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica): solo 1 laureato su 3 è donna. Tale fenomeno può essere attribuito a una resistenza culturale storicamente radicata, ossia all’idea che le ragazze siano meno inclini a studiare materie scientifiche rispetto ai ragazzi. È un preconcetto che, nonostante gli sforzi, stenta ancora a essere superato completamente.
È invece di fondamentale importanza coinvolgere attivamente le donne nella definizione e nello sviluppo tecnologico, a maggior ragione per eliminare, o perlomeno limitare, i pregiudizi dell’IA legati al genere. Affrontare queste disparità e promuovere un ambiente di lavoro inclusivo richiede un impegno continuo da parte sia delle aziende che della società nel suo complesso.